Sulla sentenza del tribunale di Catania
Continuano le sentenze dei tribunali contro la Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita: anche i giudici di Catania hanno sancito che che il divieto alla fecondazione eterologa è incostituzionale.
La Legge 40 che vieta la fecondazione assistita, va abrogata. I comunisti/e, già all’epoca del referendum, analizzando il testo della legge, avevano ribadito e denunciato come lo stesso presentasse una discriminazione di classe di proporzioni gigantesche. Vietare il diritto per tutte le donne, infatti, significa permettere il privilegio per le sole che se lo possono permettere, potendo andare all’estero.
Questa legge non solo non difende il diritto alla salute delle donne ma rappresenta un ritorno all’indietro nel tempo, comportando il riconoscimento giuridico dell’embrione, un autentico scempio socio – culturale, oltre che giuridico.
Essa, infatti, svolge un ruolo fortemente ideologico che tende innanzitutto al controllo sulla scelta di ogni donna se avere figli o no.
Ma c’è di più: questo testo apre alla criminalizzazione delle donne che decidono di abortire, per cui se la donna è costretta a tale scelta drammatica, torna ad essere considerata alla stregua di un’assassina, come nella peggiore epoca buia della nostra storia.
Da comunisti/e ribadiamo come non possano bastare le sentenze dei tribunali per affermare quello che dovrebbe essere sancito, senza ombre, in una società che si dice democratica ma serva una forte consapevolezza e si debba ritornare ad una decisa lotta delle donne e del movimento democratico che, con chiarezza e senza le ipocrisie caratteristiche dell’attuale panorama politico, non sia disponbile a barattare diritti e conquiste sociali.
Terminati gli show delle “donne per bene”, che tanta ribalta mediatica avevano riscosso ai tempi della protesta contro un ex presidente del consiglio che ha incarnato l’ideologia antifemminista che dipinge la donna e la sua condizione secondo i peggiori stereotipi maschilisti ma che sulle scelte politiche vere mai è stato contrastato dallo schieramento avversario, lottiamo per ricostruire quella rete di collettivi e comitati per la difesa dei diritti delle donne, attaccati quotidianamente da una politica che le relega nell’angolo buio della crisi, come donne e come lavoratrici. Le donne, infatti, sono le prime ad essere espulse dal lavoro ed a pagare lo scempio di diritti, garanzie e servizi pubblici che non ci sono più a causa della crisi dettata dal capitalismo.
Ma ripartiamo dal basso, dalle lotte per la (strenua) difesa di ciò che resta, giacchè i partiti di destra e di sinistra che hanno avuto finora il timone del potere in questi ultimi 20 anni, sventolando il vessillo dell’Europa dei capitali e della banche, in questo ambito si dimenticano di allinearsi alla normativa europea per preferire il medioevo e l’asservimento ai dettami religiosi, sventando sistematicamente ogni proposta progressista. Con l’aggravante di rispolverarla in campagna elettorale per e poi, relegarla, puntualmente, nel dimenticataio facendo nel frattempo passare, con la scusa della crisi, il taglio dei servizi sanitari, sociali, formativi ed edcuativi che vedono come prima vittima sempre le donne.
Monica Perugini
Responsabile nazionale donne comuniste
Segretario Regionale CSP – Partito Comunista